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domenica, marzo 09, 2008

Ma che ne sa Ferrara?

Ho visto e sentito il discorso di Giuliano Ferrara...
http://it.youtube.com/watch?v=XwmooBqIabU&NR=1http://www.la7.it/blog/default.asp?idblog=GIULIANO_FERRARA_-_Gli_editoriali_11

Prima di esprimermi, pur avendo gia' un'opinione personale molto precisa sull'argomento, sono andata a documentarmi. Volevo provare a capire con serieta' perche' uno come Giuliano Ferrara improvvisamente avesse deciso di far sua la battaglia contro l'aborto. Non voglio neanche parlare dei suoi trascorsi politici, non m'interessano sebbene molto ci sarebbe da dire...
Ma dopo essermi aggiornata anche sull'andamento delle cosiddette IVG (interruzioni volontarie di gravidanza) in Italia negli ultimi anni che sono peraltro diminuite e non aumentate: nel 1980 per ogni mille donne residenti in Italia sono stati registrati 15,3 interruzioni volontarie di gravidanza -nel 1998 sono scese a 9,5 ovvero quasi dimezzate, mi sono chiesta:
ma allora di cosa parla quest'uomo? E perche' proprio ora ha deciso di interessarsi all'argomento?
Che ne sa Ferrara del profondo significato della maternita' e dell'immenso ed incolmabile dolore psichico e fisico che una donna puo' provare quando costretta ad abortire, spesso per motivi indipendenti dalla sua volonta'?
Che ne sa di come la tragedia di dove prendere una decisione cosi' profonda possa cambiare e anche distruggere la vita di una donna?
Io conosco personalmente donne che hanno dovuto rinunciare alla propria esistenza per crescere un figlio handicappato, perche' sole, senza assistenza sociale, senza aiuti concreti, abbandonate alla loro disperazione e con la sola forza di andare avanti per amore, l'amore che solo una madre puo' avere per il proprio figlio...perche' non parliamo di questo?
L'interruzione di gravidanza non puo' avere a che fare con questioni di propaganda politica e non puo' essere strumentalizzata da nessuno. E' una decisione cosi' personale, che ha solo a che vedere con la propria coscienza ed il proprio essere. Nessuna donna in condizioni di normalita' vorrebbe abortire, di questo ne sono certa.
Parliamo piuttosto di quali aiuti lo Stato dovrebbe essere in grado di fornire ad una donna nella terribile condizione di non potere sostenere e portare avanti la propria maternita'.
La legge 194 e' un diritto acquisito che non si puo' negare a nessuna donna.
Lo dico con grande fermezza, pur essendo personalmente in linea "di principio" contraria all'aborto, ma tuttavia essendo consapevole che non si puo' negare in determinate circostanze.
Riporto qui di seguito da lettera di Livia Turco a Repubblica che condivido quasi completamente e che credo sia un monito per Ferrara e per la sua assurda moratoria propagandistica.
D'altro canto, permettetemi...che credibilita' puo' avere uno che in televisione, qualche settimana fa, fumando amabilmente una sigaretta dichiarava la sua ambizione a diventare Ministro della Salute?

Legge 194: una lettera del Ministro della Salute Livia Turco al Direttore di Repubblica
"DIFENDO LA 194 MA NON TEMO IL CONFRONTO"di Livia Turco*
Caro direttore,la legge 194, che nel 1978 ha reso legittimo per le donne italiane il ricorso all'interruzione volontaria di gravidanza, non ha bisogno di alcun "tagliando". Essa si dimostra infatti ancora oggi di estrema efficacia e mantiene inalterata la sua validità.
Anche per rispondere alle più recenti sollecitazioni di natura sia etica che scientifica.E allora a cosa dovrebbe servire, mi chiede anche Miram Mafai, l'atto di indirizzo da me annunciato anche per una migliore applicazione della legge?
La necessità di formulare indirizzi per gli operatori sanitari in materia di assistenza neonatale per i nati molto pretermine e in generale sulla gravidanza e il parto, è avvertita da tempo dalla stessa comunità scientifica che, in alcuni casi, si è già mossa, indicando ad esempio i limiti temporali a partire dai quali si ha certezza sostanziale sulla capacità di vita autonoma del feto.
Sappiamo bene che nel '78 tale periodo si collocava non prima delle 24/25 settimane di gestazione, mentre oggi i progressi della neonatologia lo indicano attorno alla ventiduesima settimana.
Questo indicatore è molto importante perché la 194 prevede un limite invalicabile all'aborto quando sussiste la possibilità di vita autonoma del feto.In questo caso esso resta infatti possibile solo in condizioni di grave pericolo per la "vita" della donna, a conferma ulteriore che non siamo in alcun caso di fronte a una legge eugenetica.
E non si può parlare di eugenetica neanche nel caso di un aborto conseguente a una diagnosi di anomalia o malformazione del nascituro.
La 194 non prevede infatti l'aborto per malformazione del feto ma solo quando tali malformazioni determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna.
Anche in questo caso la 194 si conferma una legge di chiari e saldi principi. Incentrati, da un lato, sul diritto all’autodeterminazione della donna, sulla sua capacità di "accoglienza" della maternità e sulla salvaguardia del feto dal momento in cui presenta possibilità di vita autonoma. Dall'altro, su una serie di valutazioni medico-scientifiche finalizzate a far sì che tali diritti, capacità e garanzie possano essere sempre esercitati al meglio.
Chi ha voluto e chi ha combattuto per questa legge e che oggi giustamente ne rivendica e ne difende la validità, non deve quindi temere di confrontarsi con il progresso della scienza.
Perché se è vero che esso consente diagnosi sempre più anticipatorie sulla salute del nascituro (anche se con ancora molti margini di errore e variabilità), rende possibile parti in età gestionali estremamente pretermine, contribuisce a diminuire le sofferenze, è anche vero che ci pone dinanzi a scelte e dilemmi di natura profonda che non possiamo non considerare. A partire dal rifiuto della ricerca di una ideale perfezione nel nascituro che può condurci verso scenari da incubo selettivo della specie che non possiamo accettare.
Noi donne per prime. Proprio in quanto portatrici di valori alti a difesa della vita e dell'amore e del rispetto della persona e della sua capacità di scelta, che sono gli stessi valori che hanno ispirato le lotte per la legalizzazione dell'aborto.
A chi oggi grida contro questa legge, invece, è sempre bene ricordare che prima della sua approvazione almeno trecentomila donne italiane si sottoponevano ogni anno a interventi rischiosi e clandestini per interrompere una gravidanza non desiderata.E che, solo grazie a questa legge, gli aborti si sono oggi dimezzati e continuano a calare anno dopo anno.
A dimostrazione della validità della 194, sia per il contenimento del ricorso all'Ivg, sia per la non assimilazione dell'aborto a metodo contraccettivo e sia per la crescita della cultura della maternità come momento di grande responsabilità della donna.
E' diventato sempre più evidente nel corso degli anni che l’autodeterminazione da parte della donna non si traduce in libero arbitrio o in una manifestazione di egoismo o in relativismo etico. Al contrario il diritto alla "scelta" ha portato alla maturazione di una maggiore responsabilità verso la procreazione. E dunque verso la vita umana.
Per tutti questi motivi io difendo "senza se e senza ma" la legge 194. Ma per gli stessi motivi non ho paura del confronto e della verifica sulla sua applicazione anche chiedendo aiuto alla comunità scientifica, per meglio indirizzare gli operatori e per meglio garantire le donne nella loro scelta su come portare o non portare avanti una maternità.Questo a partire dalla necessità di individuare il momento in cui sussistono le condizioni per una effettiva possibilità di vita autonoma del feto. Per dare indicazioni uniformi ai neonatologi sul tipo di assistenza da garantire al neonato molto pretermine e per evitare forme di accanimento terapeutico. E per garantire l’appropriatezza nelle diagnosi prenatali.
Non si tratta quindi di porre "nuovi" limiti temporali all'aborto terapeutico, come teme Miriam Mafai, perché resta assolutamente valido quel limite già indicato dalla 194 all'articolo 7, dove è previsto che quando sussiste la possibilità di vita autonoma del feto l'Ivg sia praticata solo in caso di pericolo per la vita della donna. Si tratta semmai di chiedere alla comunità scientifica di indicare il periodo di gestazione oltre il quale sussistono tali possibilità, in base alle evidenze scaturite dal continuo aggiornamento delle conoscenze scientifiche.Questa è la via. E penso sia quella giusta per rispondere a chi, al contrario, pensa di usare il progresso della scienza come alibi per intaccare responsabilità e autonomia delle donne nella decisione più importante della loro vita.*

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p.s. un saluto particolare ad Andrea che si lamenta di venire sul mio blog e non trovarlo aggiornato :-)